• Giurisprudenza
  • Comportamento in caso di incidente
  • Dott.ssa Maristella Giuliano, Dott.ssa Micaela Ercolani e Dott.ssa Tiziana Santucci

L'obbligo di prestare soccorso ai feriti in caso di incidente sussiste indipendentemente dalla quota di responsabilità nel sinistro.

Corte di Cassazione IV sez. penale
Sentenza n.18784 del 6 maggio 2019 - massima a cura della Dott.ssa Michaela Ercolani

Sinistro stradale - Fuga e omissione di soccorso – Fattispecie di reato distinte.

I reati ex art. 189 cds, commi 6 e 7, configurano due fattispecie autonome e indipendenti e, pertanto, la legittimità del cumulo materiale. L’obbligo di fermarsi per chiunque si trovi coinvolto in un incidente stradale con danno alle persone, comunque ricollegabile al suo comportamento, è da ricondursi all’oggettiva esigenza dell’individuazione dei responsabili e, come tale, configura il reato di cui all’art. 189 comma 6 cds. Nella medesima circostanza, ma per ragioni differenti, compete l’obbligo di prestare l’assistenza occorrente alle persone ferite, ex art. 189 comma 7 cds; tale norma, infatti, impone di conformarsi alla condotta prescritta in base all’obiettiva constatazione della riconducibilità ad aspetti di dolo eventuale, ovvero alla consapevolezza che, nell’incidente, il proprio comportamento sia stato concretamente idoneo a causare effetti lesivi. Precisando, come ribadito dai Supremi Giudici, il tono del comma 7 è quello di rispondere ad un obbligo di solidarietà e di intervento nei confronti di un consociato in difficoltà. Coerentemente, altra questione attiene, poi, all’effettiva attribuzione di responsabilità, che ricorrerà, infatti, ex post, e che non riduce l’obbligo di prestare soccorso per le ragioni sopraespresse. Pertanto, al conducente dell’autoveicolo che, causando la caduta di un ciclista, ha omesso di fermarsi e non ha prestato soccorso al ferito, devono essere contestati i reati di cui agli artt. 189 comma 6 e 189 comma 7, come fattispecie autonome e indipendenti, senza ipotesi di assorbimento tra le due; rileva che dinanzi al conducente si erano prospettate le conseguenze lesive dell’incidente sul ciclista.  

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria - Presidente -

Dott. TORNESI Daniela Rita - Consigliere -

Dott. ESPOSITO Aldo - Consigliere -

Dott. BELLINI Ubaldo - Consigliere -

Dott. CAPPELLO Gabriella - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

B.M., nato in (OMISSIS);

Avverso la sentenza emessa in data 28.3.2018 dalla Corte di Appello di Bologna.

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Ugo Bellini;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale il quale ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso.

Nessuno è presente per il ricorrente.

Svolgimento del processo

1.La Corte di Appello di Bologna con la sentenza impugnata confermava la decisione del Tribunale di Bologna che aveva ritenuto B.M. colpevole dei reati di mancato arresto sul luogo del sinistro automobilistico dallo stesso cagionato e per omessa assistenza al ciclista di cui aveva determinato la caduta e, ritenuto il concorso formale tra i reati e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di mesi nove di reclusione e ritenuto il cumulo materiale delle sanzioni amministrative accessorie aveva applicato la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per due anni e sei mesi.

2.La corte territoriale evidenziava in motivazione la sussistenza del reato di omessa assistenza al pedone investito, essendo risultata dagli atti la consapevolezza da parte del conducente dell'avvenuto investimento e della libera scelta di darsi alla fuga allontanandosi volontariamente dal luogo del sinistro senza sincerarsi delle condizioni della persona investita, senza fornire le proprie generalità e ignorando l'eventuale intervento di altri soccorritori. All'uopo valorizzava le caratteristiche della interferenza tra i due veicoli marcianti in opposte corsie e le manovre di emergenza realizzate da entrambi che aveva determinato la caduta del ciclista.

3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.M. tramite il proprio difensore affidandosi ad un triplice ordine di motivi di ricorso; con il primo prospetta difetto di motivazione violazione di legge in relazione all'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, sul presupposto che per integrare il reato di omessa assistenza in ipotesi di incidente stradale sarebbe stato necessario accertare che il conducente, cui il sinistro è riconducibile, aveva avuto la consapevolezza della necessità di assistenza del soggetto coinvolto nel sinistro, laddove nella specie era mancato il contatto tra i due veicoli confliggenti.

Sotto diverso profilo evidenzia la applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. in considerazione della particolare tenuità dell'offesa, della trascurabile gravità della condotta, e della condizione di incensuratezza del prevenuto. Con una ulteriore articolazione lamenta l'eccessività della sanzione amministrativa accessoria e la illegittimità del cumulo materiale applicato dal giudice.

Motivi della decisione

1.Con riferimento al primo motivo di ricorso risulta in atto una evoluzione dell'orientamento della giurisprudenza del S.C. con riferimento al requisito, indicato dalla fattispecie contestata di cui all'art. 189 C.d.S., comma 7, della necessità di assistenza alle persone ferite, il quale originariamente interpretato quale condizione obiettiva di punibilità è stato successivamente sussunto nell'ambito dell'elemento psicologico del reato. E' stato in particolare ritenuto che il dolo del conducente non deve attenere esclusivamente al fatto dell'incidente provocato o comunque in cui sia risultato coinvolto, ma deve riguardare anche la circostanza del danno occorso alle persone e alla necessità di una assistenza da prestare alle stesse, riconducibile quantomeno ad aspetti di dolo eventuale ossia alla consapevolezza del verificarsi di un incidente determinato dal proprio comportamento che sia concretamente idoneo a produrre eventi lesivi, senza che debba riscontrarsi l'esistenza di un effettivo danno alle persone (sez.IV, 6.3.2012 n. 17220, Turcan, Rv.252374). Nondimeno la esigenza di provvedere al soccorso costituisce elemento obiettivo della fattispecie che deve essere abbracciato, sia a pure in chiave eventuale, da un profilo intellettivo del conducente il quale, preso atto dell'incidente e delle sue caratteristiche, dovrà essersi rappresentato il fatto delle conseguenze lesive occorse alle persone coinvolte (sez.IV, 30.1.2014, n. 14610, Rossini, Rv.259216). E' stato altresì affermato che la valutazione della prospettazione da parte del conducente degli effetti lesivi del sinistro per la incolumità personale dei soggetti coinvolti, con conseguente rappresentazione della necessità di prestare assistenza, va condotta ex ante, e pertanto sulla base della situazione che si era profilata dinanzi al conducente al momento dell'incidente. Pertanto si è detto che l'obbligo di prestare assistenza viene meno nel caso di assenza di lesioni, di morte o allorché altri abbia già provveduto e non risulti più necessario, né utile o efficace, l'ulteriore intervento dell'obbligato, circostanze che non possono essere ritenute "ex post", dovendo l'investitore essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione (sez.IV, 25.11.1999 n. 5416; 17.12.2008 n. 15867, D'Amato, Rv.243440).

2. Le doglianze risultano inammissibili laddove è stato ampiamente affermato dalla giurisprudenza, anche risalente di questa Corte che la disposizione di cui all'art. 189 C.d.S., comma 7 si pone come reato di pericolo astratto, che richiede che la condotta dei consociati, in presenza di sinistro stradale da cui derivino lesioni alla persona offesa, si atteggi ad un obbligo di solidarietà e di intervento che ha come fulcro l'assistenza del consociato in difficoltà; si tratta in particolare di una condotta al cui rispetto l'ordinamento è interessato a prescindere da quanto verificato in merito al fatto, a fronte della esigenza di tutela anticipata degli interessi ritenuti rilevanti dal legislatore proprio perché esonera di procedere alla valutazione in ordine alla concretezza del pericolo imponendo nell'immediato di conformarsi alla condotta prescritta (sez.IV, 25.11.1999 n. 5416, Sitia e altri, Rv.216465). Ne consegue pertanto che i fatti che escludono la responsabilità del conducente investitore devono essere accertati prima che lo stesso si allontani dal luogo del sinistro cosicché il reato è configurabile tutte le volte che questi non si fermi e si dia alla fuga a nulla rilevando che in concreto l'assistenza sia stata prestata da altri, qualora l'investitori ignori la circostanza perché fuggito (sez.IV, 2.12.1994 n. 4380 rv. 201501), dovendo l'investitore essersene reso conto in base ad obiettiva constatazione che nel caso vi era stata, essendo emerso che il B. omise del tutto di verificare gli esiti della propria condotta di guida e che le evoluzioni poste in essere dai mezzi, con sterzate e controsterzate, e la caduta a terra del ciclista (come ha dichiarato il teste F.), rendessero evidente la sussistenza di esiti palesemente lesivi della interferenza tra i due veicoli relizzatasi sulla mezzeria.

3. Palesemente infondato è poi il secondo motivo di ricorso il quale prospetta ipotesi di assorbimento tra le due fattispecie di fuga e di omissione della prestazione di assistenza in ipotesi di incidente di cui all'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7 invece ritenuto, conformemente alla costante giurisprudenza di legittimità, che il reato di fuga dopo un investimento e quello di mancata prestazione dell'assistenza occorrente, previsti rispettivamente dal sesto e dall'art. 189 C.d.S., comma 7, configurano due fattispecie autonome e indipendenti, con diversa oggettività giuridica, essendo la prima finalizzata a garantire l'identificazione dei soggetti coinvolti nell'investimento e la ricostruzione delle modalità del sinistro, mentre la seconda ad assicurare il necessario soccorso alle persone rimaste ferite, sicché è ravvisabile un concorso materiale tra le due ipotesi criminose (sez.IV, 10.10.2014 n. 3783, Balboni, Rv. 261945), tenuto altresì che ancora più recentemente è stato affermato che comma 6 ed il comma 7 del citato art. 189 prevedono due distinte fattispecie di reato, di talchè non è configurabile alcuna violazione del principio giuridico del ne bis in idem nel caso in cui le condanne per i due differenti reati siano inflitte con sentenze pronunciate in epoche diverse (sez.IV, 6.2.2015 n. 9167, Franceschi, Rv.264444).

4. In relazione poi alla richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p., sebbene l'istituto si presenti di immediata applicazione anche ai giudizi pendenti in appello e dinanzi al giudice di legittimità, trattandosi di disposizione normativa di pregnante rilevanza sostanziale, anche per gli effetti di cui all'art. 2 c.p., comma 4, la giurisprudenza di questa corte ha evidenziato che ai fini dell'accertamento dei presupposti applicativi, che attengono appunto alla non abitualità della condotta e alla modesta offensività della azione e degli effetti di essa come interpretati dall'art. 133 c.p., il giudice di legittimità nello svolgere tale secondo apprezzamento non potrà che basarsi su quanto emerso nel corso del giudizio di merito, tenendo conto, in modo particolare della presenza nel provvedimento impugnato di giudizi già espressi che abbiano pacificamente escluso la particolare tenuità del fatto (sez.III, 8.4.2015 n. 15449; sez.IV 17.4.2015 n. 22381; da ultimo S.U. 25.2.2016 Tushaj non ancora massimata). Peraltro va evidenziato come nel caso in specie la difesa del ricorrente non risulta avere formulato la richiesta di cui all'art. 131 bis c.p. nel corso del giudizio di appello intercorrendo nella reclusione di ci all'art. 606 c.p.p., u.c.. Va invero evidenziato che In tema di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all'art. 609 c.p.p., comma 3, se il predetto articolo era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza d'appello (In motivazione, la S.C. ha precisato che la questione postula un apprezzamento di merito precluso in sede di legittimità, ma che poteva essere proposto al giudice procedente al momento dell'entrata in vigore della nuova disposizione, come motivo di appello ovvero almeno come sollecitazione in sede di conclusioni del giudizio di secondo grado sez.VI, 27.4.2016, Gravina rv 266678; 23.11.2017, Moio, Rv.271877; sez.III, 21.3.2018 Rv.272789).

4. Inammissibile è infine il motivo di ricorso concernente la misura della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida determinata sulla base di un cumulo materiale delle sanzioni previste per le due ipotesi di reato ascritte. Invero in tema di circolazione stradale, il giudice, se pronuncia condanna per più reati che comportano l'applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, deve determinare la durata complessiva di questa effettuando la somma dei vari periodi di sospensione previsti per ciascun illecito, atteso che, in proposito, non rilevano discipline tipicamente penalistiche finalizzate o a limitare l'inflizione di pene eccessive (come nel caso dell'art. 81 c.p.) ovvero ad evitare restrizioni troppo ampie della libertà personale (come nel caso dell'art. 307 c.p.p.) (sez.IV, 4.12.2013, Capobianco, Rv.262136; 30.3.2016, Khairi, Rv.266704). Orbene alla stregua di tali premesse il cumulo delle sanzioni amministrative pel le due fattispecie in esame è imposto dalla legge ed è stato determinato nel minimo edittale (anni due mesi sei).

5. Consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione cui consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ragioni per escludere la colpa di questi nel proporre l'impugnazione, al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2019

 

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